L'accordo farmaceutico Trump-UE evita la guerra dei dazi, ma lascia irrisolta la battaglia sui prezzi
- L'amministrazione Trump e l'UE hanno concordato un dazio del 15% per i farmaci di marca e le API, con i generici esentati, in vigore dal 1° settembre 2025. - L'aliquota, inferiore alla minaccia iniziale del 250% da parte di Trump, evita una guerra dei dazi ma esclude le misure della Sezione 232 per altri partner. - Le aziende europee affrontano costi annuali di 19 miliardi di dollari, spingendo all'accumulo di scorte e allo spostamento della produzione negli Stati Uniti, mentre i consumatori statunitensi potrebbero vedere prezzi dei farmaci più alti. - L'accordo lascia irrisolte le controversie sui prezzi e le vulnerabilità della catena di approvvigionamento, con misure della Sezione 23 ancora in corso.
L'amministrazione Trump ha annunciato un nuovo accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea (UE) il 21 agosto 2025, specificando le aliquote tariffarie per le importazioni farmaceutiche, tra cui una tariffa del 15 percento su farmaci di marca, principi attivi farmaceutici (API) e precursori provenienti dall'UE. I farmaci generici, tuttavia, sono soggetti di fatto a tariffe zero, descritte come “aliquota della Nazione più favorita (MFN)” secondo gli accordi dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) [2]. L'accordo entrerà in vigore il 1° settembre ed esclude tariffe aggiuntive della Sezione 232, che l'amministrazione sta preparando per altri partner commerciali [1]. Stati Uniti e UE hanno finalizzato l'accordo dopo mesi di negoziati, fissando una tariffa del 15 percento per le importazioni farmaceutiche, significativamente inferiore rispetto alle tariffe del 250 percento inizialmente minacciate dal Presidente Donald Trump all'inizio di agosto [1]. La decisione è vista come uno sviluppo positivo per il trattamento tariffario dei farmaci generici, dato che il quadro originale prevedeva esenzioni solo per alcuni generici selezionati [2].
L'accordo arriva in un contesto di crescenti preoccupazioni sui prezzi dei farmaci e sulla stabilità della catena di approvvigionamento. Le aziende farmaceutiche europee affrontano un costo aggiuntivo annuo stimato fino a 19 miliardi di dollari a causa della tariffa del 15 percento, considerando i 120 miliardi di dollari di esportazioni farmaceutiche dell'UE verso gli Stati Uniti nel 2024, che rappresentano il 38,2 percento delle esportazioni farmaceutiche extra-UE [1]. In risposta, alcune aziende stanno accumulando scorte di prodotti negli Stati Uniti o pianificando nuovi impianti produttivi per compensare i costi, una mossa che potrebbe indebolire la loro presenza in Europa. I consumatori statunitensi dovrebbero vedere un aumento dei prezzi dei farmaci poiché le aziende trasferiranno i costi, anche se l'entità varierà in base a fattori come il paese di origine dell'API e se il farmaco è di marca o generico [1]. L'industria farmaceutica dell'UE si confronta anche con le complessità delle strategie di spostamento dei profitti, in cui le aziende registrano brevetti in giurisdizioni come l'Irlanda per evitare aliquote fiscali più elevate in altri paesi [1].
L'ampia iniziativa dell'amministrazione Trump per ridurre i prezzi dei farmaci include il modello di prezzo proposto “Most Favored Nation”, che allineerebbe i prezzi dei farmaci negli Stati Uniti a quelli di altri paesi ad alto reddito. L'UE è stata un attore chiave in questo dibattito, grazie al suo quadro normativo che consente costi dei farmaci inferiori rispetto al sistema statunitense. I funzionari statunitensi hanno accusato l'UE di “free riding” in questo contesto. Alcune aziende, come Eli Lilly, hanno già adeguato le proprie strategie di prezzo in previsione di queste pressioni, aumentando i prezzi in Europa per creare margine per eventuali riduzioni negli Stati Uniti [1]. La capacità dell'UE di regolamentare queste pratiche rimane un fattore chiave per mantenere la stabilità del mercato di fronte a misure aggressive sui prezzi da parte degli Stati Uniti.
Dal punto di vista della catena di approvvigionamento, sia gli Stati Uniti che l'UE dipendono fortemente dagli input farmaceutici provenienti da paesi come India e Cina, da cui proviene oltre il 60 percento degli ingredienti chiave [1]. Questa dipendenza crea un rischio condiviso per entrambe le parti, spingendo a soluzioni di “friendshoring” che riducano la dipendenza dai fornitori stranieri. Una tariffa del 15 percento sui prodotti farmaceutici dell'UE, sebbene preferibile rispetto allo scenario peggiore del 250 percento, è ancora vista come un compromesso politico a breve termine piuttosto che una soluzione sostenibile per affrontare le vulnerabilità della catena di approvvigionamento o le sfide di accessibilità a lungo termine [1]. L'accordo potrebbe indebolire la capacità collettiva dell'alleanza transatlantica di affrontare preoccupazioni comuni all'estero, poiché Stati Uniti e UE si concentrano sulle priorità politiche interne.
Sebbene l'accordo fornisca chiarezza immediata sui livelli tariffari, non risolve questioni più profonde relative ai prezzi farmaceutici, all'allineamento normativo o alla resilienza della catena di approvvigionamento. L'indagine della Sezione 232 sulle implicazioni per la sicurezza nazionale delle importazioni farmaceutiche è ancora in corso e i suoi risultati potrebbero influenzare futuri aggiustamenti tariffari per i paesi al di fuori dell'UE [2]. Il duplice obiettivo dell'amministrazione Trump di ridurre i costi dei farmaci negli Stati Uniti e rimodellare le catene di approvvigionamento globali evidenzia la complessa interazione tra politica commerciale, strategia normativa e obiettivi di salute pubblica. Mentre Stati Uniti e UE affrontano queste sfide, il percorso futuro probabilmente comporterà ulteriori negoziati e innovazioni politiche per bilanciare gli interessi economici con la sicurezza sanitaria [1].

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